“Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d’infamare col marchio di briganti –ANTONIO GRAMSCI -”

giovedì 27 gennaio 2011

ARZIGNANO E GLI EMULATORI DEL CAVALIERE

Ecco cosa ci aspetta Io Ruby, tu rubi, noi rubiamo. Vicenza, Arzignano. La città dell’oro e accanto il puzzolentissimo distretto delle concerie. Qualche mese fa viene arrestato Andrea Ghiotto che i giornali descrivono come “uno schietto, amorale, sbrigativo, sfacciato, anche simpatico”. Finanziere o giu di lì, Ghiotto ha macchine da sogno, lo yacht a Jesolo, una passione per le belle donne, una suite fissa all’hotel Principe. Ma soprattutto è evasore totale. False fatture per 1,5 miliardi di euro, un’Iva evasa per 250 milioni e i soliti appuntamenti a San Marino, Montecarlo e in Lussemburgo. Ghiotto non si fa mancare niente: l’amicizia con il senatore Alberto Filippi della Lega Nord e i soldi passati sotto banco all’ex comandante della Gdf di Arzignano in cambio della pace per sè e i suoi clienti. 180 imprenditori che dopo la sua “cantata” vengono accusati di frode ed evasione, false fatturazioni e corruzione. Due ufficiali della Finanza erano ospiti fissi della sua suite, ma non disdegnavano di frequentarla anche gli imprenditori. Un plotone di escort lombarde e pugliesi erano sempre all’opera. La più costosa delle quali (si dice 15 mila euro a notte, le altre solo 5 mila) proveniva dal gruppo di Giampiero Tarantini. Ghiotto aveva fatto piazzare nella stanza, dietro le tende, tre telecamere: si sa come va quando si tratta di convincere qualcuno a fare il bravo. Nell’inchiesta sono finiti impigliati anche Bruno Mastrotto, il re delle pelli, e Luca Pretto, produttore degli interni di Audi, Ferrari e Jaguar. Lo scorso giugno, Andrea Pasqualetto del Corriere del Veneto intervista Ghiotto: “Ho dovuto rinunciare a molte cose ma, insomma, io non mi spavento mai e vado avanti, vivo alla giornata. Ho ancora un locale in Brasile, il Buddha Pub, a Natal…Certo, rispetto a prima mi mancano il calcio, la scuola, i ragazzi. E le escort”. Lui Ruby, loro rubano.
Una storia che parla soprattutto di quel che ci aspetta ancora e per molti anni. E dice che non è tempo di essere gentili, questo.
Fonte il fatto quotidiano

domenica 16 gennaio 2011

UMBERTO MAGNO E LA FINE DELLA LEGA

Parlare male della Lega è facile, troppo facile. Nata per la secessione, ha ripiegato sul federalismo, quindi è diventata il pilastro di un centralismo, aiutato dal manganello, mai visto dai tempi di Mussolini. Odiava Roma ed è attaccata alle mammelle di Roma come e più di un Mastella qualsiasi. Era contro la mafia e si è alleata con Dell'Utri (Berlusconi è solo una controfigura). Ha tuonato contro i terùn e ora la Lombardia è un feudo della 'ndrangheta e i testimoni di giustizia sono rapiti in piena Milano e sciolti nell'acido. Era per la riduzione delle tasse e abbiamo la tassazione più alta d'Europa. L'unica tassa federale, l'Ici che finiva nelle casse dei Comuni, l'ha abolita Tremorti, il commercialista di fiducia del senatùr. Anelava il ritorno alle origini celtiche, con tanto di mucche, latte, campi di grano e macro corna vichinghe sul capo, ma l'allevamento e l'agricoltura stanno scomparendo insieme ai terreni cementificati grazie alle licenze edilizie concesse dai sindaci leghisti. Casini al confronto è un uomo di parola. Scilipoti una persona di coerenza cristallina. Veltroni un condottiero. Di fronte a cotante balle, terminate inevitabilmente con fallimenti a catena, la Lega sembra più forte che mai. In realtà i suoi voti, in termini assoluti, stanno diminuendo elezione dopo elezione. Il consenso reale cala, ma il suo peso politico, data la debolezza del Pdl, aumenta. E' come un febbrone che colpisce l'organismo quando si indebolisce e l'Italia è sempre più debole. Basta un sotto virus del varesotto per metterla a letto. La Lega non dura. Dura minga. Non può durare.
Fonte BeppeGrillo.it

martedì 11 gennaio 2011

«Boia chi molla!» Quarant'anni fa la rivolta di Reggio

Rivolta fascista, golpista e eversiva: così giornali e tv bollarono quarant'anni fa i moti di Reggio Calabria, una sollevazione popolare come mai si era vista nell'Italia repubblicana. Sette mesi di devastazioni e scontri, scioperi e blocco totale di scuole, trasporti e uffici pubblici, dopo lo scippo del capoluogo di Regione. Una vicenda nata dall'assegnazione della sede regionale calabrese a Catanzaro, con lo smacco per Reggio che contava sul relativo indotto economico: la scelta fu vista come un'umiliazione.
I terribili mesi dal luglio 1970 al febbraio 1971 vengono ora ricostruiti nel volume La lunga notte della rivolta di Mimmo Nunnari, giornalista reggino, vicedirettore della Tgr Rai.
Davvero fu una rivolta golpista ed eversiva? «Marchio bugiardo», dice Nunnari. «Le opinioni autorevoli, riportate nel libro — a cominciare da quella del presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, di Giovanni Spadolini, a quell'epoca direttore del Corriere della Sera, Peter Nichols corrispondente del Times e poi Nicola Adelfi, Luigi Maria Lombardi Satriani, Nicola Zitara, Fortunato Seminara e altri — erano state oscurate e ignorate da una congiura mediatica e politica che ha voluto appiccicare ai moti di Reggio l'etichetta di destra, mentre si trattava di una ribellione autenticamente popolare da inquadrare storicamente nell'ambito delle ribellioni meridionaliste con motivazioni essenzialmente legate all'assenza colpevole di uno Stato occhiuto e non governante, distante e con atteggiamento coloniale».
Fuori dalle schematizzazioni ideologiche, anche all'epoca era difficile considerare eversive le anziane massaie vestite di nero che manifestavano a piazza Italia, mentre i ragazzi lanciavano sassi contro la polizia e i facinorosi facevano a pezzi la loro stessa città. In realtà era rabbia per una decisione sgradita, che vedeva l'onore della città calpestato senza andare troppo per il sottile dal governo guidato dal dc Emilio Colombo, e vedeva soprattutto svanire centinaia di possibili posti di lavoro.
L'etichetta di rivolta fascista, al grido di «boia chi molla!», fu attribuita ai moti di Reggio dopo che a cavalcare la protesta dei contestatori si ritrovò un sindacalista fino a quel momento ignoto ai più, Ciccio Franco, dirigente locale della Cisnal (vicina al Msi di Almirante). In realtà Franco si limitò a occupare il vuoto creato dalla fuga della locale classe dirigente dell'epoca, dei partiti di governo e opposizione (Dc, Psi e Pci) e dei sindacati (Cgil, Cisl, Uil) che, di fronte alla scelta di Catanzaro quale capoluogo della nascente Regione Calabria, eccepirono poco o nulla. La destra prese la guida di quella spontanea sollevazione popolare, proprio perché gli altri la snobbavano, senza capire. La rivolta di Reggio si concluse il 23 febbraio 1971 con l'arrivo dei carri armati. Ricorda Nunnari nel suo libro che «era la prima volta, nell'Italia repubblicana sopo il fascismo, che il governo decideva di far ricorso a inusuali forme di repressione, per motivi di ordine pubblico. Ma apparve chiaro che si trattò, in realtà, di una manifestazione di debolezza».
Fonte L'Arena di Verona.

giovedì 6 gennaio 2011

Sanità in Veneto,il buco colpa di Galan?
L'Udc: è della Lega, Bossi sbaglia
Il segretario regionale dei centristi Antonio De Poli: «C'è una sola forza politica responsabile del disastro della sanità veneta, e si chiama Lega Nord. Che è il partito a cui sono appartenuti gli ultimi quattro assessori veneti alla Sanità»
Umberto Bossi accusa Giancarlo Galan di essere il vero responsabile del buco della Sanità veneta. E Antonio De Poli, segretario regionale dell'Udc Veneto, commenta così - in una sua nota - l'esternazione del Senatùr: «Noto negli ultimi giorni un certo nervosismo in casa leghista. Capisco il clima da campagna elettorale, ma un conto sono i proclami, un conto sono le mistificazioni: c'è una sola forza politica responsabile del disastro della Sanità veneta», dice De Poli, «e si chiama Lega Nord. Che è il partito a cui sono appartenuti gli ultimi quattro assessori veneti alla Sanità. Piuttosto, quindi, che bufale del genere spacciate a mezzo stampa, ammettano che l'unico motivo per cui aumenteranno le tasse, colpendo anche la povera gente, è quello di mettere una pezza ai guai che hanno combinato».
Fonte l'Arena.